Da anni si parla del binomio psichiatria e aggressività, di quanto un “comportamento problema” fosse una caratteristica intrinseca della malattia mentale poco prevedibile e gestibile.
I comportamenti aggressivi venivano repressi, contenuti e non capiti stigmatizzando le persone come “pericolose” in quanto malate.
Nel tempo si è cominciato a delineare una nuova visione dei “comportamenti problema” sostituendo i termini di “pericolosità” e “imprevedibilità” con linee guida che non solo aiutavano gli operatori a cogliere i segnali d’allarme prima di un “comportamento problema” ma li aiutava anche a saper gestire in maniera funzionale tale comportamento “educando” la persona a trovare delle strategie di coping più adatte per poter canalizzare al meglio la rabbia e la frustrazione derivanti da un dato pensiero e/o evento.
Questa nuova ottica ha portato a comprendere che i “comportamenti problema” possono essere anche spia di patologie psichiatriche espresse tramite equivalenti comportamentali, soprattutto in soggetti con alterate capacità cognitive, come nei disturbi del neurosviluppo.
Ulteriore contributo, in questo senso, viene dato dalla pubblicazione del DSM V dove le diagnosi non guardano e incasellano più la persona nelle rigide categorie ma si apre ad una visone più ampia, ad un approccio “dimensionale” che permette di comprendere le diverse aree disfunzionali della persona, non necessariamente collegate alla patologia, e di lavorare insieme su di esse al fine di innalzare la soglia di tolleranza al di-stress, aumentare le proprie capacità di adattamento e di resilienza e ridurre, così, i “comportamenti problema”.
In questo quadro “dimensionale” per rendere efficaci gli interventi farmacologici, terapeutici e riabilitativi è centrale il lavoro d’equipe, dove ogni operatore deve avere una visone d’insieme della persona che assiste e mettere a disposizione le proprie competenze per saper individuare i segnali sentinella, saper gestire al meglio insieme al paziente i “comportamenti problema” ed insegnare abilità sociali più efficaci che permettano alla persona di ridurre questi comportamenti al fine di migliorare la propria qualità di vita in termini di autonomia e autoefficacia.